Nel corso di un recente meeting dedicato ai media sul Lago Maggiore organizzato da Zar Formenti, Suzuki Marine e Raymarine, ho vissuto due giorni di prove molto gradevoli, ma anche ottimo spunto per una riflessione che personalmente mi sono reso conto di aver cominciato a fare oltre 10 anni fa.
Ho raggiunto Ispra, luogo scelto dalle tre aziende per l’evento, per realizzare le registrazioni di una puntata di EnjoySide, format televisivo che va in onda in chiaro sul Digitale Terrestre nazionale, per poi rimanere a disposizione degli appassionati su YouTube al link VIDEOACTION e ampiamente condiviso anche sui social come Facebook al link EnjoySide. Nella stessa occasione ho scritto due pezzi per PressMare, fatto interviste per la puntata televisiva, test in acqua di motore e battello. Quindi, per sintesi, sono andato a produrre materiale giornalistico per web, TV, carta stampata.
Vi starete chiedendo: “Ma che si sta facendo pubblicità?”. Certo, rispondo io, e nel farmela, o meglio, facendola ai media che ospitano i miei pezzi o il mio lavoro in genere, come la rivista Barche con articoli che per la maggior parte sono proprio dei test in mare, la rivista Yacht Premiere con articoli di presentazione di grandi navi da diporto, PressMare che ho contribuito attivamente a creare e per cui ancora oggi scrivo testi, approfitto per riflettere ancora sul grande tema dei media, nonostante tutto, è più forte di me.
In questo caso la riflessione è davvero semplice, sebbene il difficile sarà renderla sintetica.
- Qual è di solito il primo e più rapido modo di accedere a un’informazione? La ricerca su Google.
- Dai risultati di questa ricerca, soprattutto se l’ho effettuata sulla metropolitana, in treno, sul bus, in una sala d’attesa etc., qual è il primo che utilizzo o quello che comunque istintivamente sono portato a guardare per primo? Quello che mi rimanda a un video.
- Dopo aver seguito sul tema un video di 1, 3 , 4 o anche 5 minuti, se voglio approfondire in un momento più rilassato cosa faccio? Ri-googlo, salto il link al video che mi ha già soddisfatto e cerco un articolo di approfondimento, possibilmente da una fonte che già conosco e di cui mi fido.
- E se questa fonte miracolosa non c’è tra i risultati? Ne cerco un’altra e magari scopro che c’è un’alternativa valida e comincio a seguirla.
- E se invece la mia fonte miracolosa è la stessa che mi ha offerto in prima battuta il video e so che a quello segue sempre anche un articolo approfondito, dettagliato e completo sullo stesso argomento? Non so voi, ma io bookmarkerei (dopo aver usato googlo e ri-googlo direi che un neologismo come questo non può più scandalizzare nessuno…quasi va!). Quindi, da questo momento su temi affini alla ricerca del punto 1, avrò un bookmark sui miei browser di telefono, tablet, portatile e desktop (naturalmente tutti sincronizzati), che mi manda direttamente alla home o al motore di ricerca interno della mia fonte miracolosa per cercare soddisfazione alla mia curiosità, o conferma di quanto appreso in altro modo sul tema.
- E se questa stessa fonte periodicamente editasse una pubblicazione cartacea sulla quale fa approfondimento e mi offre immagini spettacolari e un supporto cartaceo di qualità? Non so voi, ma io mi abbonerei, quantomeno ogni volta che mi viene annunciata la presenza di un articolo di interesse la comprerei.
Cosa significa tutto questo? Secondo me: c’è da fare ordine nella frammentazione delle fonti, che rende sempre meno facile capire quale sia realmente attendibile e quale no, ma anche nella frammentazione delle modalità di pubblicazione con la concentrazione di queste sulle medesime piattaforme. Capisco che concentrare sia per alcuni sinonimo di creazione di lobbing (che brutta parola! Sa di complotto…) dell’informazione, concetto fortemente contrario a quello che ha imposto la Rete generando i fenomeni che ritengo oggi abbiano bisogno di ordine (anche questa, non è una parolaccia, ma descrive un’azione che può essere di buon senso e non solo altro di autoritaria memoria). Capisco anche che per alcuni lo sfruttamento del concetto di libertà d’informazione inteso come il poter dire sempre e comunque quel che si vuole, come sto facendo io in questo momento, sia una risorsa utile a fini diversi, come per esempio quelli che diffondono fake news in modo intenzionale. Capisco anche che ipotizzare grandi contenitori d’informazione multimediale (vera e non considerata tale solo perché diffusa con un video registrato con un telefonino a una conferenza stampa, quindi, diffusa in modo multi-mediale, in forma scritta, in video, in audio, in immagini statiche…) sia una tendenza che in qualche modo accentrerebbe la gestione dell’informazione andando contro il concetto di pluralità, ma siamo onesti, pensiamo davvero che nel nostro ambito questo possa rappresentare un pericolo per la libertà di stampa? Capisco anche però, che spesso è meglio conoscere il vissuto e dunque l’esperienza di quei pochi e le loro reali intenzioni nel comunicare, che per un professionista sono fare bene il proprio mestiere perché pagato per questo, garantire qualità di ciò che si scrive e si dice mettendoci la propria faccia e le proprie personali responsabilità di professionista iscritto a un albo. Partendo sempre dal presupposto che fare informazione costa e anche parecchio, chi la “offre” spontaneamente e senza apparenti ritorni ha ritorni di altro tipo e tenderà a soddisfare quelli. Quindi? Quindi il professionista ha come ritorno dichiarato la sua retribuzione inquadrata all’interno di regole ben precise, la quale gli è erogata da un editore che se ha lungimiranza e le spalle abbastanza larghe da pretendere il massimo dell’autorevolezza per la sua testata, potendo anche perdere qualche cliente quando uno dei suoi giornalisti/esperti gli ha criticato un prodotto, allora l’obiettivo informazione ha maggiori possibilità di essere raggiunto.
Un bel dilemma…ma se cominciassimo a concepire (finalmente aggiungo…) dei nuovi contenitori multimediali (multi-mediali…) dove i contenuti sono suddivisi in modo da rispettarne la natura? Per esempio, sulla carta stampata trovo immagine e approfondimento ma non troverò più le news…(news sulla carta stampata mi fa lo stesso effetto che mi fece il menu di un ristorante, che tra i secondi riportava “Pesce fresco surgelato”). Sul web troverò in forma continua le news sul tema che riguarda quel contenitore o media che dir si voglia, ma troverò anche gli approfondimenti pubblicati su carta in precedenza, poi troverò la sezione video con documenti vari, magari anche un format televisivo che si ripete nel tempo e voglio esagerare, un’edizione giornaliera di un TG, nautico nel nostro caso, che a fine giornata racchiude e commenta tutte le più importanti news del giorno. In pratica una webTV all’interno di un “rullo” d’agenzia in costante aggiornamento e un magazine dove immagine e approfondimento dopo un mese di permanenza su carta stampata va ad arricchire l’archivio. Il tutto indicizzato in modo che se tra un mese io abbonato al servizio volessi raccogliere tutto ciò che è stato diffuso su quello specifico tema, potrei farlo e scaricarlo se necessario. Questo, oltre a rappresentare una fonte preziosa per chi vuole informazione a tema, infonde ulteriore fiducia nella fonte che sullo stesso tema approfondisce, si rinnova e aggiorna.
La prima volta che ho ipotizzato un media del genere mi sono sentito dire che l’idea è bislacca perché costerebbe troppo. In effetti produrre informazione in modo continuo e adoperarsi a renderla fruibile in modo multi-mediale richiede l’impegno di molti professionisti, perché in questo caso l’improvvisato “blogger” non basterebbe. Per un unico “editore” rappresenterebbe un costo decisamente alto, ma ciò che mi domando è: se per uno fare più cose costerebbe potenzialmente troppo, quanto costa complessivamente per i tanti che oggi fanno quelle stesse cose in modo individuale? Soprattutto, quanto renderebbe a quegli stessi “piccoli” fare le stesse cose per un macro contenitore dalla penetrazione sul pubblico molto più efficace? Quanto gioverebbe tutto questo a chi per ragioni di marketing ha bisogno di servirsi di piattaforme di comunicazione?Quanto questi ultimi signori sarebbero felici di poter avere piani media unici ma multimediali (nel vero senso della parola!) con i quali avere un’efficace visibilità presso un pubblico selezionato? Quel macro-media, formato da chi è in grado di produrre informazione testuale, fotografica e video di qualità e di gestirla nel migliore dei modi, per soddisfare la prima ricerca e la voglia di approfondire se non addirittura di stimolare l’attenzione verso temi specifici, conquista il pubblico e lo fidelizza imponendosi come fonte affidabile. Ora, se il commerciale di questo macro-media si recasse da un responsabile marketing a proporre una campagna multi-mediale (ancora?) vera, scandita nel tempo nelle tante forme che la possono rendere maggiormente efficace? L’azienda oggetto della proposta come la prenderebbe? Ne sarebbe contenta o preferirebbe comprare tanti spazi autogestiti e tra loro scoordinati?
Purtroppo da oltre 10 anni il mio lavoro è fatto di tante domande e poche risposte, ed è un peccato, perché sono convinto che sia proprio nelle risposte a queste domande la soluzione per chi, come me, vorrebbe continuare a fare il proprio mestiere, ma anche per chi di quel mestiere in qualche modo dovrebbe fruirne.
Una delle cose che noi della stampa specializzata abbiamo sempre evidenziato come una colpa di molte aziende del settore nei periodi di crisi è l’incapacità di fare squadra, di collaborare, di darsi supporto tra aziende. Siamo molto individualisti per cultura, aiutare qualcuno che fa il nostro stesso mestiere, ci fa pensare subito che potrebbe un domani diventare il nostro peggior concorrente, non che da una difficoltà potrebbe nascere una preziosa collaborazione. Mi fa ridere che noi “illuminati” osservatori lo evidenziamo sempre quando si tratta di cantieri, aziende della fornitura o anche porti, poi però, ci rifiutiamo di capire che oggi dovremmo fare lo stesso, non solo perché dovrebbe essere la logica a suggerircelo, ma perché è il mercato che ce lo chiede. Siamo noi stessi con le nostre nuove abitudini nel cercare informazioni che chiediamo il cambiamento e non ci affidiamo più a una sola forma mediatica, che sia cartacea, video, radio, on line off line…. Invece no, ognuno rimane vertice di quel che ha creato o contribuito a creare senza pensare che esiste il modo per coordinare le sue azioni professionali con quelle di altri, traendone tutti beneficio. Ma chi rinuncerebbe alla sua testata in favore di una nuova macro entità? Nessuno! Siamo tutti convinti di essere portatori sani di una nostra specificità che il mercato premierà ancora come ha fatto in passato. Allora potremmo pensare a un’associazione giornalistica nautica, MediaMare, o magari AssoMediaMare, AGioNautici, AMMare, AGN Associazoine Giornalistica Nautica, GioNautici, MareNostrumMedia, MediaNostrum…
Certo se a farlo fosse un’editore unico con tanto capitale da investire e le spalle sufficientemente larghe per poter gestire in modo serio l’attesa del giorno del profitto, a mio modesto avviso, vincerebbe su tutti, altra ragione per cominciare a pensare che essere della partita oggi, potrebbe significare poter ancora giocare domani. Se poi questo stesso editore avesse anche la capacità di portare a sé tutti gli attuali professionisti seri già coinvolti, capaci di portare valore aggiunto con contenuti di qualità, competenza tecnica e giornalistica, secondo me di briciole ne rimarrebbero poche.
Perché un grande investitore dovrebbe farlo proprio nel mondo della nautica? Due motivi: il primo è che manca, ma un’informazione nuova e più articolata in questo ambito serve, quindi dal punto di vista industriale questo è un vantaggio; il secondo è che questo pezzo lo sto scrivendo io e non sapendo fare altro che dovrei suggerire? L’alpinismo?